Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana
XXXIV
G. Carraro, Monachesimo e cura d’anime. Parrocchie ed altre chiese dipendenti del monastero di S. Maria Assunta di Praglia in diocesi di Padova (sec. XII-XVIII). Con edizione delle visite abbaziali,
Padova, Istituto per la storia ecclesiastica padovana, 2010, (Fonti e Ricerche di storia ecclesiastica padovana, XXXIV), p. XVI-546, ill.
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Il binomio ‘monachesimo e cura d’anime’ ha sempre rappresentato una sfida per il mondo monastico, in ragione della ineliminabile tensione fra desiderio di nascondimento da una parte ed ansia di evangelizzazione dall’altra che accompagna fin dalle sue origini l’esperienza cenobitica, come mostrano chiaramente le vite dei primi grandi legislatori del monachesimo occidentale, a partire dallo stesso san Benedetto. Eppure non vi è dubbio che la cifra principale attraverso cui si è sempre considerata la figura del monaco, a partire proprio dalle disposizioni della regola benedettina, sia stata la ricerca della perfezione cristana e del contatto con Dio nella separazione dal mondo, piuttosto che l’impegno diretto in attività di carattere propriamente pastorali.
E’ un fatto però che il monachesimo ha saputo sviluppare nel tempo e in particolare nei secoli del basso medioevo e dell’età moderna una forte attenzione per la cura animarum di cui l’indice più evidente è il gran numero di chiese parrocchiali dipendenti dai monasteri; per non parlare delle abbazie nullius, come ad esempio Montecassino, Bobbio e Nonantola, intorno alle quali finirono per organizzarsi vere e proprie diocesi rette dai rispettivi abati.
E’ in questo filone di ricerca che si inserisce il presente volume su Praglia il cui titolo dà immediatamente conto della prospettiva di fondo adottata dall’autore. Un contributo nuovo e importante che si muove su un arco temporale molto esteso (dalle origini medioevali alla prima soppressione ottocentesca), condotto sulla scorta di una larga base documentaria in gran parte inesplorata, in particolare le visite pastorali degli abati pragliesi, edite integralmente nella seconda parte dell’opera, ma anche quelle dei vescovi padovani e molto altro materiale d’archivio. Ricca e aggiornata anche la bibliografia citata.
L’abbazia di Praglia, tuttora fiorente, si prestava bene ad una indagine di tale natura per il concorso di alcune specifiche circostanze: una quasi millenaria vicenda storica connotata da una sostanziale continuità della vita monastica e dell’esercizio della cura d’anime (continuità di fatto interrotta, ma solo per alcuni decenni, nel XIX secolo, dalle soppressioni napoleonica e italica); la configurazione e le dimensioni non esorbitanti del suo dominio territoriale e signorile collocato quasi interamente a ridosso dell’abbazia o non molto lontano da essa, in un’area ben controllabile dal governo abbaziale, compresa tra la città di Padova e i vicini colli Euganei; i secolari diritti di esenzione rispetto alle pretese della Curia vescovile padovana sempre ostinatamente difesi dall’abbazia in virtù della sua soggezione a S. Benedetto di Polirone nel medioevo e alla congregazione di S. Giustina (poi Cassinese) in età moderna.
Fra il XV e il XVIII secolo Praglia disponeva di un patrimonio fondiario di circa 5.000 campi ed esercitava la sua giurisdizione religiosa su una popolazione complessiva variabile fra le 1700 e le 2000 unità. La sua attività pastorale, iniziata e sviluppata con il determinante appoggio dei vescovi già nei primi decenni del XII secolo, si era gradualmente emancipata dal loro controllo, soprattutto dopo la riforma monastica quattrocentesca e più ancora in concomitanza con la crisi dell’episcopato padovano registrata nel corso del Cinquecento. Ciò favorì l’emergere proprio nei secoli XV e XVI di una circoscrizione religiosa sempre più autonoma dal potere vescovile, quasi una ‘microdiocesi’ che, facendo centro sull’abbazia, si articolava nelle parrocchiali di Tramonte, Tencarola, Carbonara, nell’eremo-santuario della Madonna del Monte e in varie altre chiese campestri sussidiarie. Una delle espressioni più evidenti di tale evoluzione furono senza dubbio le periodiche visite pastorali che gli abati compivano alle loro chiese, talora in aperta concorrenza con quelle eseguite dai vescovi padovani. Un processo di autonomia, peraltro mai pienamente compiuto e comunque ostacolato con vigore dai vescovi post-tridentini, che fu messo completamente in crisi dalla determinazione di Gregorio Barbarigo e dei suoi successori e poi dall’incipiente decadenza del monastero maturata nel Settecento.
Il lavoro indugia in particolare sull’impatto che l’impegno di cura d’anime ha avuto nel corso dei secoli nella vita della comunità pragliese, ma più ancora sulle influenze che quella medesima cura ha esercitato sul popolo cristiano soggetto al monastero, e ciò nella consapevolezza dei rapporti complessi, intercorsi sia con le autorità ecclesiastiche, sia con quelle politiche, che inevitabilmente tale attività comportava.